Quando parliamo di realtà virtuale siamo abituati ad associarla all’architettura, al design, all’arte, allo sport ma, negli ultimi tempi, sta conquistando sempre più terreno anche nel campo della psicologia clinica per la cura di disturbi cognitivo-comportamentali. Essendo lo scenario di realtà virtuale una simulazione realistica di un ambiente verosimile e, allo stesso tempo, sicuro e controllato, consente di minimizzare i costi e i pericoli legati a situazioni che potrebbero essere potenzialmente pericolose nell’esperienza sul campo (o esperienza in vivo). Inoltre, dato l’elevato livello di coinvolgimento, di interazione e di partecipazione sembra promuovere la motivazione del paziente al trattamento proposto.

Primi esperimenti con l’uso della VR

Realtà virtuale e paranoia

Daniel Freeman, professore in psicologia clinica e ricercatore presso l’Università di Oxford, ha dedicato gran parte delle sue ricerche alla conoscenza ed al trattamento della paranoia. Assieme al suo gruppo di ricerca, ha valutato i fattori potenzialmente predittivi dei sintomi paranoici, esponendo un gruppo di ben 200 soggetti ad ambienti virtuali neutri.

I setting virtuali (una simulazione della metropolitana di Londra e una biblioteca), erano popolati da avatar creati per essere il più neutrali possibile (né amichevoli né ostili). Di tutti i soggetti, solo una piccola porzione dichiarava pensieri e stati d’animo persecutori connessi all’esperienza. Tali vissuti risultavano essere predetti statisticamente da costrutti precedentemente misurati quali: ansia, preoccupazione, anomalie percettive e rigidità cognitiva.

Realtà virtuale e schizofrenia

Banks ed il suo gruppo di ricerca, invece, hanno creato delle vere e proprie esperienze allucinatorie in laboratorio, con l’obiettivo di misurarne i correlati neurofisiologici e psicologici. Avvalendosi della realtà virtuale, i ricercatori hanno esposto soggetti sani a stimoli audio-visivi ascrivibili quasi perfettamente alle comuni allucinazioni esperite da soggetti psicotici. Le esperienze, che consistevano in suoni, voci o scritte (come ad esempio, l’apparizione intermittente di parole come “morte”  tra i titoli di un giornale), sembravano attivare particolari aree del cervello ed indurre specifiche risposte emotive.

I risultati delle misurazioni con risonanza magnetica funzionale, indicavano un incremento del lavoro della corteccia secondaria uditiva nel planum secondario sinistro. Inoltre i soggetti sembravano esperire una notevole attivazione emotiva quando erano esposti ad allucinazioni uditive con contenuto semantico accusatorio. Da ciò constatarono, quindi, che è proprio il significato più che la frequenza, il volume o la durata delle allucinazioni, ad indurre vissuti sgradevoli.

Valutazione delle funzioni cognitive

L’immersività della realtà virtuale, rende questa tecnologia anche un ottimo ausilio per la valutazione delle funzioni cognitive e sociali. Molti strumenti valutativi, che tradizionalmente consistono nella somministrazione di test o nell’osservazione in ambiente naturale, trovano con la realtà virtuale un’incredibile svolta in termini di costi ed efficacia.

Sorkin e colleghi hanno dimostrato, tramite l’immersione di pazienti schizofrenici in un ambiente virtuale ispirato al Wisconsin Card Sorting Test, l’efficacia di tale tecnologia nella misurazione delle funzioni frontali. Il compito del soggetto era superare un labirinto attraversando una serie di porte distinte per colore, forma e suono. I dati prodotti dallo spostamento del soggetto, producevano misurazioni incredibilmente accurate in termini di abilità di ragionamento astratto e di strategie cognitive.

Riabilitazione sociale

Al fine di migliorare il funzionamento sociale dei soggetti affetti da schizofrenia, la realtà virtuale è entrata a far parte dei programmi di social skill training. Comparando i protocolli standard di role playing con le simulazioni di situazioni sociali virtuali, queste ultime hanno dimostrato prove di efficacia di gran lunga maggiori, in particolare nelle abilità sociali generali e capacità di conversazione.

Riabilitazione cognitiva

Ad oggi non esiste un gran numero di protocolli di riabilitazione cognitiva in realtà virtuale. Un protocollo ideato in Brasile da Costa e Carvalho sembra essere efficace nella riabilitazione cognitiva di diversi disturbi come con pazienti cerebrolesi. I due ricercatori hanno creato uno spazio virtuale chiamato “Integrated Virtual for Cognitive Rehabilitation” (AVIRC), ossia una città costituita da una piazza, delle case, una libreria, una chiesa ed un supermercato. Lo scopo dei ricercatori era mettere in condizione l’utente di allenarsi in presenza di tipiche situazioni della vita quotidiana.

Alcuni dei compiti che l’utente doveva portare a termine erano: rispondere a domande dei passanti rispetto a orario e data, interagire con oggetti comuni quali radio o lampade, comporre numeri telefonici precedentemente memorizzati o riconoscere volti dei passanti.

Conclusioni

Si è visto come attraverso la riproduzione fittizia di contesti e situazioni di vita reale, è possibile non solo ottenere una valutazione attendibile delle principali funzioni cognitive ma anche facilitare la valutazione di quelli che sono i sintomi psicopatologici dell’ansia sociale o dell’ideazione persecutoria.

Nonostante la letteratura scientifica evidenzi che alcuni soggetti (persone affette da gravi patologie cardiache, da epilessia, tossicodipendenti, e con problematiche riguardanti la percezione della realtà) manifestino reazioni molto intense agli ambienti simulati, le possibilità di applicazione di questo strumento ed i possibili sviluppi futuri sono inevitabilmente interessanti.

 

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By Categories: NotiziePublished On: 10 Luglio, 2020

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