Il BIM è morto, viva il BIM: la favolosa avventura dell’adozione dei modelli BIM in Italia nell’epoca dell’AI
In Italia, l’obbligo di utilizzare il BIM negli appalti pubblici a partire dal 1° gennaio 2025 ha messo in evidenza con maggiore forza diverse criticità. Molte Pubbliche Amministrazioni e aziende del settore non sono ancora pronte per questa transizione, principalmente a causa di un divario digitale significativo e di una resistenza al cambiamento.
Molte piccole e medie imprese percepiscono l’adozione del BIM come un investimento oneroso, sia in termini di formazione del personale che di aggiornamento delle attrezzature e dei software necessari. Un chiaro articolo pubblicato sulla rivista di Inarcassa ribadisce come la mancanza di linee guida uniformi per l’adozione del BIM rappresenti un ulteriore ostacolo. Senza una standardizzazione chiara, la collaborazione tra le diverse parti coinvolte nei progetti diventa complessa, limitando l’efficacia del BIM nel migliorare i processi di costruzione.
Oltre a queste criticità strutturali, ne emergono altre di carattere opportunistico. Sembra infatti evidente, e in Italia ancora di più, che non basta una norma affinché una pratica, per quanto ottima, venga adottata. Come appare chiaro anche per le questioni di sostenibilità e digitalizzazione, la leva che potrebbe fare da discriminante e spostare l’utilizzo del BIM da auspicabile a necessario è da ricercarsi in un vantaggio economico diretto o indiretto che l’adozione di queste pratiche porterebbe ai vari attori coinvolti nel processo progettuale e costruttivo.
L’AI e il ruolo degli strumenti BIM
Ed è qui che entra in gioco l’AI. Da più di dieci anni, gli operatori e i tecnici del settore sentono come necessario l’aggiornamento verso software e metodologie riguardanti il BIM. La grande maggioranza dei corsi, master e workshop si è focalizzata per un decennio sull’utilizzo di uno o due software. Chi di noi non ha pensato a Revit in questo momento? Da oltre dieci anni, il settore ha formato tecnici e progettisti BIM (accostamento spesso visto come poco elegante) su uno standard ben preciso.
Nulla di sbagliato, almeno fino a quando l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale non è stato adottato da chi opera in questi settori per ottimizzarne processi e dati. Questa scelta ha prodotto la nascita di una serie di nuovi strumenti che lavorano altrettanto bene quanto quelli citati in precedenza, senza contare il fatto che anche i software BIM classici hanno integrato, in vari modi, l’AI nei loro processi.
La nuova generazione di strumenti BIM
Dove si trova, allora, il problema? Il problema sorge nella velocità, nella capacità e nella versatilità della nuova generazione di strumenti BIM, progettati per integrare fin dall’inizio i sistemi di AI. Un caso emblematico è quello di XKool.
Per capire meglio questa vicenda, dobbiamo partire dal raccontare chi è Wanyu He e come il suo percorso l’abbia portata a diventare una figura di riferimento nel panorama internazionale, unendo architettura e intelligenza artificiale.
Le radici di Wanyu He e l’inizio del viaggio
Wanyu He nasce in Cina, dove fin da piccola dimostra una vivace curiosità per il mondo che la circonda. Cresciuta tra paesaggi urbani in rapida trasformazione e il ricco patrimonio culturale cinese, sviluppa presto una passione per l’architettura. Questa combinazione di modernità e tradizione diventa il suo punto di riferimento.
Dopo aver conseguito la laurea in architettura in Cina, Wanyu si spinge oltre i confini nazionali per perfezionare la sua formazione. Il suo talento la porta al prestigioso Berlage Institute nei Paesi Bassi, un centro di eccellenza noto per la sua attenzione all’architettura sperimentale. Qui, sotto la guida di alcune delle menti più brillanti del settore, Wanyu approfondisce il design computazionale e gli algoritmi generativi, discipline che presto sarebbero diventate il fulcro del suo lavoro.
Gli anni a OMA: eccellenza e innovazione
Dopo il master, Wanyu inizia a lavorare presso il celebre studio OMA (Office for Metropolitan Architecture), diretto da Rem Koolhaas. Per oltre sette anni, tra Rotterdam e Hong Kong, Wanyu contribuisce a progetti iconici che lasciano il segno nel panorama globale.
Uno dei suoi lavori più rappresentativi è la progettazione della Borsa Valori di Shenzhen, un grattacielo avveniristico che sfida le convenzioni architettoniche tradizionali. Il suo design, con un podio sospeso a 36 metri da terra, simboleggia una nuova era per l’architettura cinese, integrando tecnologia, innovazione e impatto visivo.
Durante il suo periodo a OMA, Wanyu inizia a interrogarsi su come l’architettura possa evolversi ulteriormente attraverso l’uso delle tecnologie emergenti.
La svolta: fondare XKool
Nel 2016, con una visione chiara in mente, Wanyu lascia OMA per fondare XKool Tech, un’azienda che mira a rivoluzionare l’architettura attraverso l’intelligenza artificiale. XKool combina big data, machine learning e analisi avanzate per creare strumenti che aiutano gli architetti a progettare in modo più efficiente, sostenibile e innovativo.
La piattaforma XKool permette agli utenti di analizzare il contesto urbano, generare milioni di varianti progettuali e ottimizzare soluzioni che integrano parametri come sostenibilità, costi e funzionalità. In Cina, XKool è già utilizzata da sviluppatori immobiliari e giovani studi di architettura, ma il suo impatto sta rapidamente superando i confini nazionali.
Il lavoro di Wanyu He si pone come un ponte tra tradizione e innovazione, unendo il pensiero umano alla potenza del calcolo artificiale. Wanyu non è semplicemente un architetto o una ricercatrice: è una visionaria, impegnata a delineare un nuovo modo di concepire lo spazio, integrando passato, presente e futuro in una sintesi unica e rivoluzionaria.
Sperimentare XKool Per chi fosse curioso, è possibile provare gratuitamente alcune funzionalità di XKool. Sebbene non tutte siano particolarmente entusiasmanti al primo impatto, se si ha la pazienza di esplorare il sito e di andare oltre la parte di text to VIZ, si può intravedere il potenziale straordinario di questi strumenti.
Conclusioni
Non sono un fan sfegatato del digitale a tutti i costi o degli ultimi ritrovati tecnologici, anche se li utilizzo ogni giorno e ne apprezzo i benefici. Quello che mi affascina veramente è capire come strumenti di diversa complessità possano abilitare nuove forme di pensiero, nuove modalità di relazione tra noi, il progetto, la materia e l’ambiente. Questo, forse, è un aspetto che meriterebbe di essere approfondito.
Sta di fatto che questa ondata di intelligenza artificiale, sempre più diffusa, continua a generare strumenti e utilities. La maggior parte di queste sono cose di cui, con ogni probabilità, possiamo fare a meno, e lo faremo ancora per un bel po’. Tuttavia, in alcuni casi isolati, queste utilità si rivelano interessanti, soprattutto nelle mani di chi è disposto a sperimentare e a esplorare percorsi nuovi.
C’è però una certezza: tutte queste innovazioni producono un effetto inevitabile. Scardinano gli standard esistenti, erodendo un pezzetto alla volta ciò che consideriamo prassi comune. È proprio qui che si manifesta il rischio: trovarci con una classe di tecnici formata rigidamente sul “vangelo” di Revit (sì, Autodesk potrebbe citarmi per danni), in un momento in cui il BIM in Italia è ormai obbligatorio, mentre nel resto del mondo si stanno esplorando nuovi standard e modelli informativi differenti.
Nelle mie parole non c’è alcuna presa di posizione a favore o contro uno strumento specifico. Ritengo, invece, fondamentale evidenziare come una corretta adozione delle pratiche informative digitali nel settore dell’architettura e delle costruzioni possa rappresentare un potente stimolo per la sperimentazione e la nascita di Pensieri profondi e strutturati. Questi nuovi approcci, sfruttando le tecnologie emergenti e i software avanzati, non dovrebbero limitarsi a creare standard utili per la comunicazione e la gestione della complessità, ma spingersi oltre, esplorando nuovi orizzonti progettuali, gestionali e tecnici.
Tutto questo andrebbe affrontato con lungimiranza, specialmente in Italia, senza attendere passivamente che il prossimo standard, importato dall’altra parte dell’oceano, ci travolga per necessità, diventando obbligatorio senza una vera integrazione con il nostro contesto culturale e operativo.
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