Riflettendo sui traguardi raggiunti dall’uomo negli ultimi cinquant’anni, pensiamo alla medicina moderna e alla rivoluzione digitale, si avverte un certo senso di orgoglio. Ma spostando l’attenzione sugli straordinari cambiamenti adattativi che la natura ha subito nel corso dei millenni per sopravvivere sul nostro pianeta, è difficile non avvertire un senso di umiltà su quanto ancora abbiamo da apprendere a riguardo.
Così come nel 1800 l’uomo pensò di aver raggiunto il traguardo della conoscenza, allo stesso modo per la nostra epoca è sempre più comune un senso di appartenenza ad una razza superiore, in grado di manipolare la natura a suo piacimento. Questa linea di pensiero ha portato l’uomo a credere nell’inestinguibilità delle fonti energetiche fossili e a sfruttare le risorse naturali come se il nostro periodo di permanenza sulla terra fosse limitato. Purtroppo, se si vuole preservare il pianeta per le generazioni future, è necessario un cambio di rotta. Ciò inevitabilmente significa passare da un’economia basata sui combustibili fossili, ad un’economia basata sull’energia solare; significa rivoluzionare i nostri cicli produttivi, attualmente lineari ed inquinanti, in cicli chiusi, come il cosiddetto cradle to cradle; significa, costruire strutture più efficienti, che utilizzino al minimo i materiali, e che permettano, una volta finito il loro ciclo di vita, di poter essere riassorbiti in un ciclo continuo.
Fino ad ora l’architettura ha guardato alla natura come fonte d’ispirazione per forme e simbolismi. Le costruzioni di Le Corbusier e Frank Lloyd Wright ne sono un esempio lampante.
Ciò che, però, risulta essere più interessante nelle manifestazioni naturali, riguarda i processi di adattamento alle condizioni climatiche ed ambientali. Tali processi che godono di milioni di anni di ricerca e sviluppo sono le basi dello studio della Biomimesi.
Il termine Biomimesi si iniziò ad usare già negli anni ’70 soprattutto da biologi e studiosi dei materiali che cercavano nella natura risposte per elementi adattabili a contesti ambientali difficili. Il termine è poi entrato a far parte dell’architettura come indicatore di un tipo di progettualità che si ispirava alle forme naturali per raggiungere una maggiore armoniosità. Negli ultimi dieci anni, però, il termine ha assunto una valenza più tecnica e, quindi, volta ad indicare una presa di coscienza dei progettisti che vedono nella natura una fonte di ispirazione per la creazione di edifici e processi produttivi che si possano integrare al meglio nel contesto ambientale.
L’impatto zero però non è l’unico fine.
Lo scopo precipuo della Biomimesi è quello di ottenere le migliori performance in qualunque ambito utilizzando la minima quantità di materiale e che quest’ultimo una volta utilizzato possa essere re-immesso nel processo biologico naturale.
Esempi recenti possono essere gli indumenti da gara (ora banditi) usati da alcuni nuotatori, che per ottenere una minore resistenza nell’acqua imitano la struttura della pelle degli squali,
oppure la concept car della Mercedes che è ispirata alla struttura del Boxfish per ottenere volumi maggiori e, nonostante la forma cubica, un basso coefficiente d’attrito.
Ma tali eli esempi sono solo la punta dell’iceberg. Le innumerevoli possibilità che l’ispirazione ai processi naturali ci offre, se sfruttata adeguatamente, può portare ad un incremento esponenziale della qualità della vita sul nostro pianeta e renderci non più parassiti, ma parte integrante dei processi naturali.
Sicuramente due aspetti che saltano agli occhi osservando la natura sono: le efficienti strutture, che utilizzano solo il materiale necessario al loro scopo, e gli stessi materiali, i quali in un ciclo infinito possono essere riutilizzati.
Come costruire strutture più efficienti
Volgendo uno sguardo agli esempi costruttivi che ci circondano, ciò che salta agli occhi è che il principio progettuale che li pervade è quello di creare forme complesse utilizzando ingenti quantità di materiale, spesso inutile. In natura tutto ciò è ribaltato. Quando si “costruisce” qualcosa, si tende ad utilizzare la minore quantità di materiale per creare delle forme che siano funzionali, piuttosto che di design.
Prendiamo in considerazione il bamboo. Questa fantastica pianta ha la capacità di crescere fino a 40 metri di altezza utilizzando materiale solo lungo le linee di forza attraverso le quali deve resistere agli sforzi. Ciò le permette di utilizzare solo il 20% del materiale e di rimanere vuota all’interno. A ciò si aggiunge la presenza di nodi regolari mentre sale verso l’alto, che fungono da paratie, che le conferiscono ulteriore rigidezza.
Così come il bamboo, anche le ossa umane permettono una notevole rigidezza a fronte di un notevole risparmio di materiale utilizzato. Esaminando un femore, nello specifico le sue linee di forza, noteremo che la maggiore quantità di ossa si concentra proprio in quei punti.
Nelle parti neutrali il femore rimane vuoto, permettendo così di risparmiare materiale. Allo stesso modo il metacarpo al suo interno ha una “travatura” particolare che gli permette di essere solido e, al contempo, di poter utilizzare una minima quantità di tessuto osseo. È possibile notare dalla figura seguente come la trave di Warren sia identica a quest’osso.
Continuando ad analizzare gli elementi naturali che seguono il principio del “materials are expensive and shape is cheap”, troviamo le conchiglie. La peculiarità di queste strutture biologiche è la notevole grandezza e solidità che ottengono con numerosi avvolgimenti, nonostante gli strati abbiano degli spessori molto sottili. Una ricerca condotta dallo studio Arup, ha portato alla realizzazione di un ponte costruito nella rinomata Shi Ling Stone Forest, in Cina. L’architetto Liu e l’ingegnere strutturale Clark, hanno progettato il ponte ispirandosi alla costituzione di numerose conchiglie di mare. Infatti, tramite numerosi avvolgimenti il ponte ha una maggiore solidità strutturale nonostante la quantità di materiale usata sia stata drasticamente ridotta perforando la superficie nei punti di minore stress.
Un ulteriore esempio di come uno studio strutturale approfondito può evitare l’utilizzo di materiale in eccesso, ci è dato dal palazzetto dello sport creato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi. Nella costruzione di questo edificio l’ingegnere non solo si è ispirato alla natura, prendendo come esempio costruttivo il giglio acquatico gigante dell’Amazzonia, ma ha anche utilizzato un materiale ad hoc. Come nei casi precedenti questa pianta acquatica utilizza un rinforzo della sua struttura solo ove necessario, limitandone lo spreco. Allo stesso modo l’edificio costruito da Nervi ottiene una resistenza notevole imitandone le forme. Nella realizzazione di tale struttura, la scelta del materiale è caduta sul cemento rinforzato. Il punto di forza di questo materiale risiede nel non avere una forma propria e quindi di essere facilmente adattabile.
Nella figura sottostante si nota come il tetto del palazzetto si ispiri alla pianta, e come da essa abbia tratto il vantaggio di utilizzare una quantità notevolmente minore di materiale, a parità di solidità strutturale.
Quando si parla di materiali resistenti, le haliotis, o comunemente abaloni, sono di certo delle creature che hanno delle caratteristiche straordinarie.
La corazza di questi molluschi è caratterizzata da numerosi strati di aragonite posti sfalsati tra di loro (Fig. 10), così da non permettere alle crepe di propagarsi. La durezza di tale guscio è superiore a qualunque elemento ceramico mai creato dall’uomo ed è per questo che numerosi scienziati stanno studiando il modo di applicare questa tecnologia agli involucri delle automobili.
Un esempio di materiale molto resistente è quello utilizzato nell’Eden Project Humid Tropics and Warm Temperate Biomes dello studio Grimshaw. La sfida che i progettisti hanno intrapreso, riguarda la necessità di far penetrare all’interno degli ambienti, dell’edificio, una notevole quantità di luce. Poiché l’edificio era molto instabile non si poteva utilizzare il classico vetro, poiché avrebbe avuto un peso eccessivo. Tale inconveniente è stato aggirato tramite l’utilizzo dell’etilene tetrafluoroetilene (ETFE). Questo polimero ultra resistente è stato posizionato su tre strati tra i quali è stata insufflata dell’aria per ottenere una maggiore compattezza. Tuttavia, ciò che sorprende di questo materiale è la sua incredibile leggerezza: il suo peso, infatti rispetto al classico vetro, è dell’1%. In aggiunta a ciò sono stati studiati numerosi casi di esempi naturali per massimizzare l’ingresso della luce. Attraverso vari tentativi la forma che ha convinto di più è una composizione geodetica di pentagoni ed esagoni, come quella posseduta dalle molecole di carbonio utilizzate anche da Buckminister Fuller.
In natura l’adattamento alle condizioni climatiche del luogo è essenziale per la sopravvivenza. La maggior parte degli edifici che invece vengono tuttora costruiti, seguono delle logiche inefficienti che, nella maggior parte dei casi, portano unicamente a sprechi di materiale. Non è difficile notare come le costruzioni esistenti siano sovradimensionate a carichi che non dovranno mai sostenere, se non in alcune località. Gli alberi sono un esempio di come non sia necessario lo spreco di materiale quando l’unica prerogativa è quella di adattarsi all’ambiente circostante. Quanto appena detto è esemplificato dalle piante delle foreste pluviali. Questi vegetali devono ancorarsi saldamente ad un terreno che, a causa delle numerose piogge durante l’anno, è soggetto a smottamenti. Le piante, quindi, sviluppano le loro radici in orizzontale per un lungo raggio dal pivot point e creando, in tal modo, una superficie di ancoraggio maggiore in grado di resistere ad un eventuale ribaltamento.
In modo simile, alcuni uccelli costruiscono i loro nidi. Quando le distanze da coprire sono notevoli, anziché utilizzare un’unica campata, questi uccelli preferiscono creare varie parti del nido che, intrecciandosi tra di loro, danno lo stesso risultato, ma utilizzando componenti di dimensioni più piccole.
È il caso dell’uccello tessitore. Questo abile volatile riesce a costruire dei nidi di notevole distanza utilizzando differenti parti, ognuna con una dimensione inferiore alla distanza totale da coprire, unite tra di loro con nove diversi tipologie di nodi. Altri uccelli, invece, sostituiscono l’abilità di creare dei nodi con l’utilizzo di materiali che fungono da collagene, ma il risultato finale rimane invariato.
Questa tipologia costruttiva è stata lo spunto per la creazione del Luxmore bridge, progettato dall’Atelier One in collaborazione con Jamie McColl.
La differenza sostanziale che sussiste tra i metodi costruttivi naturali e quelli umani, può essere condensata in una parola: rigidità. Mentre l’uomo costruisce per ottenere strutture rigide, la natura ha evoluto elasticità e resistenza.
Negli edifici del futuro lo spreco di materiale non è ammissibile, è quindi necessario che questa differenza si assottigli fino ad estinguersi. I metodi costruttivi adatti, però, non possono essere attuati in modo efficace se non con l’uso di materiali ad hoc ed è per questo che la ricerca contemporanea sta concentrando gran parte degli sforzi per mettere a punto materiali sempre più performanti.
Giuseppe di Domenico
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