Decennio ONU 2024-2033 delle scienze per la sostenibilità: dai Laboratori Urbani al Mondo.

C’è una cosa che è passata in sordina durante questo passaggio tra il vecchio e il nuovo anno. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il periodo 2024-2033 come il Decennio Internazionale delle Scienze per lo Sviluppo Sostenibile. In questa iniziativa globale, scienziati, ricercatori e pensatori di tutto il mondo sono chiamati a unirsi in un progetto comune, quello di esplorare, comprendere e affrontare le grandi sfide del nostro tempo.

Quello che ci aspetta quindi è un viaggio nel cuore della scienza, alla ricerca di soluzioni per problemi critici come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la povertà e le disuguaglianze. È un periodo che ci vedrà impegnati a tessere insieme i fili della conoscenza per creare una trama più resistente e inclusiva, dove ogni scoperta e ogni innovazione si traduca in un passo verso un mondo più equo e vivibile. Uno dei campi più interessanti dove questi temi si affronteranno e verificheranno sarà quello della città.

Secondo gli Indicatori degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, più della metà della popolazione mondiale risiede attualmente in aree urbane, una percentuale che si prevede raggiungerà il 70% entro il 2050. Circa 1,1 miliardi di persone vivono attualmente in baraccopoli o in condizioni simili nelle città, e si prevede che questo numero aumenterà notevolmente nei prossimi 30 anni​. Con una popolazione globale prevista di 9,7 miliardi in meno di 30 anni, è urgente affrontare i metodi di produzione alimentare e l’uso dell’acqua. Il report del Millennium Alliance for Humanity and the Biosphere della Stanford University, suggerisce che, pur essendo necessaria l’espansione agricola, questa deve essere gestita in modo sostenibile per evitare di esacerbare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità​.

In questo scenario, vi cito tre libri che approcciano il tema in maniera interessante: “Interni o esterni. Per una nuova Carta d’Atene” di Andrea Branzi, “Fitopolis, la città vivente” di Stefano Mancuso e “Urbanità” di Carlo Ratti.

Partendo dall’ultimo, il libro “Urbanità”, di Carlo Ratti, è una raccolta di quattordici reportage che esplorano i grandi temi dell’urbanistica contemporanea attraverso varie città del mondo. Ratti descrive le città non solo come centri di dinamismo e innovazione, ma anche come luoghi di permanenza, offrendo una visione più olistica e complessa del fenomeno urbano. Il libro presenta il ritratto di una “polis ideale”, risultante dalla composizione di molteplici realtà urbane, e suggerisce come la città possa essere vista come un caleidoscopio di diverse prospettive e esperienze. Le città descritte nel libro sono viste come laboratori viventi dove si incontrano cultura, tecnologia, e innovazione sociale. Ratti esamina come le tecnologie digitali stiano trasformando gli ambienti urbani. Ad esempio, discute l’uso di veicoli a guida autonoma e le loro implicazioni per la mobilità urbana e la pianificazione delle città, come illustrato nel suo progetto “Unparking” a Singapore. Una tematica centrale del libro è come le città possano affrontare e adattarsi ai cambiamenti climatici. Ratti esplora le strategie di città come Stoccolma, Copenaghen ed Helsinki, che stanno adottando misure ambiziose per raggiungere la neutralità carbonica e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Il progetto “Hot Heart” a Helsinki, per esempio, è un innovativo sistema di accumulo di energia termica che utilizza fonti rinnovabili per alimentare il sistema di teleriscaldamento della città.

“Urbanità” riflette anche sull’importanza delle interazioni sociali nelle città e su come le tecnologie digitali e il lavoro da remoto stiano cambiando il rapporto tra gli spazi personali e professionali. Carlo Ratti ( qui una intervista che realizzai nel 2011), di cui ricordiamo il suo recente incarico di curatore della Biennale Architettura 2025, mette in luce la necessità per le città di incoraggiare i cittadini a uscire dalle loro “bolle digitali” e a riconnettersi con lo spazio fisico urbano, sottolineando come le città siano state, fin dalla loro nascita oltre diecimila anni fa, cruciali per promuovere l’incontro tra culture e individui diversi, fungendo da acceleratori dell’innovazione umana. Questo approccio riflette la complessità e la ricchezza delle città contemporanee, sottolineando l’importanza di una visione integrata tra l’architettura, le pratiche di partecipazione attiva e il disegno delle città e le nuove opportunità tecnologiche.

Altro approccio interessante e, per certi versi, affine ai temi trattati da Ratti, si trova nel libro “Interni o esterni”, di Andrea Branzi, che affronta temi riguardanti la rivoluzione urbana e il cambiamento nell’architettura e nel design degli spazi abitativi. Nel suo approccio, Branzi, protagonista di rivoluzioni culturali e stilistiche epocali e purtroppo scomparso nel 2023, esamina il processo storico e culturale dell’integrazione tra gli spazi interni e esterni, un fenomeno che ha segnato profondamente l’evoluzione architettonica e urbana.

Branzi introduce l’idea di una modernità “debole e diffusa”, dove gli spazi architettonici e urbani subiscono un cambiamento funzionale. Questa visione pone l’accento su come la modernità influenzi l’architettura non solo in termini strutturali ma anche nella percezione e nell’uso degli spazi da parte delle persone.

Il libro esplora anche le differenze tra le civiltà non architettoniche, come quelle neolitiche e tradizionali africane, e quelle basate sul modello architettonico occidentale. Branzi sembra utilizzare questi esempi per evidenziare come differenti culture e epoche storiche abbiano interpretato e utilizzato lo spazio, sia interno che esterno, in modi diversi.

Questa analisi culturale e storica permette di esplorare le implicazioni più ampie del design e dell’architettura nel contesto urbano moderno. Il libro, quindi, non si limita a una semplice descrizione degli spazi, ma indaga il loro significato più profondo nella società contemporanea e come questi spazi influenzino il comportamento e l’interazione umana.

Con la sua “Nuova Carta di Atene”, ovviamente provocatoria nel titolo, Branzi propone un cambio di paradigma, rimpiazzando i principi del Movimento Moderno con “suggerimenti” innovativi e adatti alla realtà della globalizzazione e della terza Rivoluzione Industriale. Una città in cui la tecnologia e la natura si fondono armoniosamente, creando un habitat urbano che è sia avanzato tecnologicamente sia sostenibile ecologicamente.

Le linee guida di Branzi puntano a una ristrutturazione della città moderna, dove gli spazi pubblici e privati si mescolano, creando nuove forme di interazione sociale e comunitaria. Questo approccio si allontana dall’idea di spazi urbani rigidamente definiti, promuovendo invece la fluidità e l’adattabilità. La “Nuova Carta di Atene” suggerisce anche una visione più inclusiva e cosmopolita della città, che accoglie diverse culture e modi di vita, riflettendo la crescente interconnessione globale. In sintesi, la “Nuova Carta di Atene” di Branzi è un manifesto per una pianificazione urbana che abbraccia il progresso tecnologico e la sostenibilità ambientale, promuovendo al contempo l’inclusione sociale e la diversità culturale. Questi principi offrono un modello per lo sviluppo di città che non sono solo efficienti e funzionali, ma anche vivibili, resilienti e capaci di rispondere alle sfide del futuro.

Mentre Branzi si concentra sulla destrutturazione e riconfigurazione dello spazio urbano e Ratti porta l’attenzione sull’aspetto storico e culturale delle città, Mancuso si focalizza sull’integrazione della natura nell’ambiente urbano, esplora la necessità di un cambiamento radicale nel modo in cui concepiamo le città, proponendo un modello che si ispira alla struttura e alla funzionalità delle piante. Egli sottolinea che le piante, grazie alla loro modularità e mancanza di organi specializzati, possono offrire preziose lezioni su come progettare spazi abitativi più resilienti e adattabili.

Mancuso descrive come la crescente urbanizzazione e la separazione dell’uomo dalla natura abbiano portato a città insostenibili, che richiedono enormi quantità di risorse ed energia. Questa situazione ci espone a rischi significativi, specialmente in un contesto di riscaldamento globale e cambiamenti climatici.

“Fitopolis” si pone come un richiamo ad una più profonda armonizzazione tra ambiente costruito e mondo naturale. Mancuso suggerisce che le città del futuro dovrebbero essere progettate come “fitopolis”, ovvero spazi in cui il rapporto fra piante e animali, inclusi gli esseri umani, si avvicini a quello trovato in natura. L’idea è quella di città verdi e diffuse, dove gli spazi abitativi si integrano con gli spazi naturali, creando ambienti sani e sostenibili.

Per Mancuso, riportare la natura all’interno delle nostre città non è solo una visione utopica ma una necessità operativa per garantire la sopravvivenza e il benessere della nostra specie e del pianeta. In “Fitopolis”, egli elabora un approccio complesso e dettagliato per immaginare e costruire queste città del futuro, sottolineando l’importanza di una profonda connessione tra l’umanità e il mondo naturale.

La combinazione di queste prospettive pone in rilievo la complessità del fenomeno urbano e la necessità di un approccio multidisciplinare nella pianificazione e gestione delle città del futuro. Queste visioni convergono sulla necessità di città più resilienti, sostenibili e umane, che rispettino la storia e promuovano l’innovazione, tenendo conto delle esigenze ambientali, sociali e culturali. Insieme, offrono un piccolo quadro per comprendere e affrontare le sfide dell’urbanizzazione, delineando un futuro in cui le città sono non solo centri di crescita economica ma anche di sostenibilità e qualità della vita.

Stiamo assistendo allo sviluppo di un approccio più articolato e complesso nella gestione delle sfide future dell’umanità, un approccio che non punta a trovare una soluzione unica, ma esplora molteplici strategie. Questa nuova consapevolezza ci porta a comprendere che la gestione di questi temi è intrinsecamente complessa, e che le riflessioni e le azioni intraprese si influenzano e rafforzano a vicenda, contribuendo positivamente al bilancio della vita dell’uomo sul pianeta. Una sorta di etica planetaria, come invocata da Galimberti, che sottolinea la necessità di un’etica estesa a tutte le forme di vita sulla Terra, promuovendo una convivenza armoniosa tra umano e naturale.

In questa prospettiva, il termine planetaria non intende universale. Anzi, si va oltre la ricerca di soluzioni univoche e si abbracciano approcci flessibili, adattabili alle varie situazioni specifiche e uniche che si presentano.

Gli scenari, illustrati nei tre libri, ci sfidano a ripensare il nostro rapporto con l’ambiente urbano, a considerare nuove possibilità di convivenza tra l’artificiale e il naturale e a riconoscere l’importanza di un approccio bio-etico e inclusivo nella pianificazione urbana. Ciò che emerge è un richiamo all’innovazione responsabile, all’equilibrio tra progresso e conservazione, e alla costruzione di spazi urbani che siano resilienti, inclusivi e in armonia con l’ambiente che li circonda.

                                             Leggi anche: “A Civil Community” – A project by Picerno Ceraso Lab

By Categories: Big Thinking, NotiziePublished On: 4 Gennaio, 2024

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